venerdì 16 marzo 2007

Brevi cenni sulle letture di Napoleone e il rapporto che ebbe con i libri

Napoleone Bonaparte (Ajaccio 1769- Sant’Elena 1821) frequentò ad Ajaccio e ad Autun istituti diretti da religiosi nei quali ricevette un’educazione tradizionale tipica della formazione del gentilhomme del XVIII secolo.
Nel 1779 fu ammesso alla scuola preparatoria di Brienne-le-Château dove l’insegnamento delle materie umanistiche era affidato ai preti Minimes e quello delle materie scientifiche, tecniche ed artistiche a personale laico. Fu quindi a Brienne che intraprese la carriera militare.
Dai bonshommes come venivano chiamati i religiosi di Brienne rimase sino al 1784 anno in cui iniziò a frequentare la scuola militare reale di Parigi, all’interno del gruppo d’artiglieria. Le materie più importanti erano quelle dedicate alla formazione di un buon soldato (storia geografia, scienze esatte, studio delle fortificazioni) che lo portarono poi col grado di sottotenente ad approfondire l’arte della guerra nell’anno successivo all’interno del reggimento d’artiglieria La Fère a Valenza.
A questi studi specialistici affiancò, sin da quando studiava a Brienne, la lettura dei classici latini e greci ( Omero, Tacito, Plutarco Tito Livio), degli autori del XVIII secolo ( Voltaire, Montesquieu, Rousseau, Raynal), delle opere di Corneille e Racine e dell’inglese Ossian che fu uno degli autori preferiti della sua giovinezza.
Ma da ragazzo la sua attenzione si rivolse soprattutto alla storia della Corsica alla cui vita politica partecipò attivamente.
Pur studiando in continente, riteneva la Francia un paese ostile, la causa dei mali della sua terra tanto che guardò agli avvenimenti rivoluzionari con gli occhi di uno straniero. Sognava di liberare la Corsica dall’oppressione francese e divorava libri che raccontavano la storia dell’isola o trattavano dell’autonomia dei popoli. Perfezionò la conoscenza della lingua italiana per leggere nella versione originale le opere dei cronisti corsi come Giovanni della Grossa, Ceccaldi, Filippini e iniziò a stendere una storia della Corsica e scrisse alcune novelle nella quali esprimeva il suo “odio” contro la Francia.
Nei suoi operette giovanili è facile rintracciare l’influenza di Rousseau dal quale attinse, secondo lo storico Godechot “ad un tempo idee di libertà e di uguaglianza e la conferma della sua volontà di ridare indipendenza alla sua patria”.
Tuttavia, in seguito lo rifiutò in modo netto e anche se rimase in lui una vena sotterranea della sensibilità romantica, nella vita fu un pieno discepolo degli illuministi le cui opere furono sempre presenti nelle sue biblioteche.
Come scrive G. Lefevre, uno dei maggiori storici francesi della prima metà del’900, diventò “un razionalista e un philosophe e lungi dall’affidarsi all’intuizione fa assegnamento sul sapere e sullo sforzo metodico.”
Ecco quindi che il militare e l’uomo di governo usò il libro soprattutto come strumento di lavoro, tanto che uno dei suoi pregi maggiori di soldato fu l’aver applicato correttamente e al momento giusto le tecniche apprese dai saggi di Du Teil, di Saxe, di Guilbert e negli altri trattati militari che nel XVIII secolo erano apparsi in numero sempre maggiore sul mercato librario.
Le sue preferenze dunque andavano verso i libri di storia, di matematica e di arte militare e la lettura gli permetteva di conoscere la realtà per poi modificarla secondo i suoi fini, motivo per cui il libro dal quale non ricavava nessuna utilità era gettato nel fuoco o buttato fuori dalla carrozza.
Secondo lo storico Tarle “ Napoleone è tutto in queste parole: “accumulare le cognizioni per sfruttarle realmente”.
Ma sarebbe troppo semplicistico circoscrivere alla sua attività militare e politica il rapporto con i libri.
Leggere fu un’azione costante nella vita di Bonaparte.
Quando era a Brienne chiedeva al padre rispedirgli volumi della biblioteca di casa, a Valenza frequentava la libreria Aurel e si mise anche in contatto con un libraio di Ginevra, Paul Borde, per avere testi sulla Corsica.
Nei primi tempi in cui visse a Parigi trascorreva molto del suo tempo libero nelle biblioteche.
Leggeva di tutto: poesie, tragedie, opere antiche e moderne, trattati di medicina e di agricoltura. Non amò il romanzo, ma non lo rifiutò come fece per la commedia. Durante la campagna di Russia nel 1812 chiese dei romanzi e dopo la disfatta di Waterloo fu trovato a leggerne uno. La passione per la lettura quindi non venne meno neppure nel momento più critico della sua vita.
Aveva invece un debole per le tragedie perché secondo lui la tragedia è stata la scuola dei re e dei popoli e vi si apprendeva più che dai testi di storia.
Anche se l’ascesa politica e militare farà sì che altre motivazioni di carattere politico e propagandistico si sovrapponessero al suo interesse originario, la lettura personale continuò e generò in lui il desiderio di possedere delle biblioteche.
Soldato e capo di stato organizzò per sé due diversi tipi di biblioteche: le raccolte da campagna e quelle dei palazzi reali.
Le librerie da campagna costituirono il momento più originale in quanto rispecchiavano il modo di vivere attivo, sempre alla ricerca di ulteriori successi in campo militare e di conferme in quello politico.
Per avere la possibilità di leggere sui campi di battaglia, i libri venivano messi in ampie casse di mogano costruite appositamente nella bottega dei Jacob, i mobilieri più famosi della Parigi post-rivoluzionaria e napoleonica.
Per evitare di ritrovarsi a leggere testi non di suo gusto, a Bayonne il 17 luglio 1808 a Schoenbrunn il 12 giugno 1809 dette disposizioni precise. Il numero dei volumi della biblioteca da campagna, fissato a mille nella prima lettera, salì a tremila nella seconda; il formato stabilito in dodicesimo fu poi ridotto in diciottesimo e il numero massimo delle pagine da seicento fu portato a cinquecento.
Inoltre i libri stampati con i caratteri di Didot dovevano avere una legatura sottile per occupare il minor spazio possibile.
Napoleone non riuscì a realizzare questo il sogno di costituire la sua biblioteca da campagna ideale, però queste indicazioni sono preziose per conoscere quali erano le sue materie preferite.
Nella lettera spedita da Bayonne, Bonaparte definisce in maniera meticolosa, il numero dei volumi relativi ai singoli argomenti: 40 di religione, 40 di epica 40 di teatro, 60 di poesia 100 di romanzi e 60 di storia. Il tutto doveva essere poi completato da memorie storiche di ogni tempo.
In quella successiva, la biblioteca ideale assumeva un aspetto grandioso. La quantità delle opere veniva triplicata e gli argomenti però circoscritti alla storia e così suddivisi: 1. cronologia e storia generale 2. storia antica 3. storia del basso impero 4. storia generale e particolare come l’Essai di Voltaire, 5. storia moderna di ogni stato europeo 6. Strabone, la Bibbia e storie della Chiesa.
Tali indicazioni però servivano per iniziare la formazione di una raccolta ben più importante nella quale, accanto alle opere di storia dovevano trovare posto altri 3000 volumi di diverso genere.
Come dimostrano i documenti sopra citati, le raccolte da viaggio furono concepite come un blocco autonomo rispetto a quelle dei palazzi, ma dopo la disastrosa campagna di Russia dove molte casse bruciarono o caddero in mano al nemico Napoleone aveva da risolvere ben altre situazioni e ordinò che la biblioteca da campagna fosse rifornita con i libri delle residenze imperiali nei quali aveva riunito oltre 60.000 volumi.
Nei palazzi, infatti, c’erano due biblioteche, una quella ufficiale, a disposizione di tutta la corte e degli ufficiali e una personale, la biblioteca particolare dell’imperatore.
Napoleone si occupava direttamente e con zelo di tutte le raccolte dei palazzi. Anche se le dimore delle Tuileries, di Trianon e della Malmaison contenevano i nuclei librai più numerosi, Napoleone cercò di evitare di avere più copie di una stessa opera.
Si può anzi azzardare che ogni singola raccolta sia privata che ufficiale fosse ideata e costituita come parte di un’unica ed estesa biblioteca napoleonica.
La collocazione dei libri in luogo diverso non rappresentava, infatti, un ostacolo se è vero quanto racconta Masson in Napoleone intimo che “ un libro letto o visto non esce più dalla sua memoria; se il bibliotecario non lo trova all’istante Napoleone ne descrive minuziosamente la rilegatura, indica il colore della copertina e del dorso, indica il luogo ove il volume può essere stato collocato e in quel posto si deve trovare…”
In ogni libro delle raccolte private veniva inoltre apposto al frontespizio un timbro ovale, di colore verde o rosso, in cui figurava al centro l’aquila imperiale circondata dalla scritta , ma già lo stemma presente al centro dei piatti esterni della legatura ne indicava la proprietà.
Inoltre, sotto lo stemma dorato del piatto anteriore vi era stampato il nome del palazzo reale della cui raccolta il volume faceva parte, usanza già in voga nel 1700. Le opere poi erano registrate in un catalogo e nelle biblioteche regnava, a quanto ci riferisce ancora Masson, un ordine assoluto, metodico. I libri di un palazzo non circolavano in un altro e se li prelevava per le campagne militari aveva poi cura di riportarli al loro posto.
Bonaparte quindi aveva formato a suo uso e consumo una banca del sapere da cui attingere in ogni momento che lo avevano fornito di una vasta griglia di informazioni. Ciò lo portò ad avere una cultura “universale”, orizzontale si direbbe, oggi tanto che Metternich definì limitata la sua preparazione scientifica.
Tutte le sue biblioteche non furono mai dei nuclei chiusi, esse svolgevano una funzione attiva, esistevano perché utili. Napoleone del resto si compiaceva di ostentare il proprio sapere.
Se da ragazzo aveva letto per conoscere e capire la realtà, da imperatore usò il libro per poter dominare gli altri sia militarmente che intellettualmente.


Sandra

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Good post.

Anonimo ha detto...

Esauriente e completo. Non conosco miglior complimento.