lunedì 12 marzo 2007

Raffaele Aragona - Introduzione a Tautogrammi d'amore e d'amarore

Quando, ad un ricevimento, una bella e giovane vedova parigina indossò un abito con sù ricamate ben quindici m, ella andava spiegandone così il significato:



Ma mère m’a mal mariée;
mon mari m’a mal ménagée;
maintenant, monsieur,
ménagez moi mieux.



L’aneddoto, quasi certamente tale, è fondato sul meccanismo del “tautogramma” che, basato sul criterio della ripetizione, potrebbe definirsi come un fenomeno di “allitterazione iniziale”. Più semplicemente si dice “tautogrammatico” un testo nel quale tutte le parole che lo costituiscono iniziano con la stessa lettera; esso genera un rilevante effetto fonico, spesse volte congiunto ad un coinvolgente “effetto filastrocca”.
Il tautogramma si ritrova così spesse volte utilizzato in filastrocche popolari ovvero in epigrammi ironici come quello che veniva ripetuto in giro dicendo di una donna salita sul soglio pontificio dopo la morte di Leone IV e rimasta incinta: Papa, pater patruum, peperit papissa papellum, un esempio in p, come di frequente. Già nel ‘600 Gaspar Dornau scrisse una Pugna porcorum, “la battaglia dei maiali”, 250 versi tutti con parole inizianti con la p (Giovanni Pozzi, invece, data la composizione al 1530 e l’attribuisce al domenicano Leone Plaisant). Altri esercizi, sempre con la stessa lettera iniziale, si devono in tempi recenti ad Achille Campanile (una lunga storia del Povero Piero) e a Margareth Atwood (una favola per bambini, tradotta in italiano da Mattia Diletti, che ha per protagonisti la Principessa Prunella, la Principessa Priscilla, il Principe Primario, tre gatti persiani di nome Pazienza, Prudenza e Perseveranza, e un pointer chiamato Pollice). Una filastrocca popolare del sud dice di un tale Pietro Paolo Parzanese, pittore palermitano (in realtà è il nome, vero, di un poeta irpino) pittò parecchi palazzi per procurarsi poco pane… Anche in p è il tautogramma in latino citato ne Il nome della rosa di Umberto Eco ed è lo stesso Eco che, insieme con i suoi allievi, riscrisse la storia di Pinocchio in forma tautogrammatica, in p, naturalmente. È ancora Eco a proporre ne Il secondo diario minimo alcune biografie tautogrammate (Dante: Dirò di detti dal desir dittati. Dirò di donna deificata. Dirò di demotico dictamine. Dopo dirò di dannate dimore di Dite (di divorator di discendenti), di dolcissimi dolenti (dodici + dodici dignitari dodecannesi), di devoti Dottori dicenti di Degnità di Dio. Dopodiché dirannomi divino. Dopotutto desideravo dicessermelo. Marx: Mio manifesto mostra meta materialistica. Misinterpretati miseri, movete militanti! Mai Moloch maxicapitalistico macchini mire malevole. Morrete, ma mostrerete maestà miniproletari. Kant: Ki kredeva ke kategorie krescessero kuantitativamente?).
Un tautogramma per Federico Fellini, non poteva che essere in f; lo scrisse Benigni in quindici endecasillabi inneggianti al regista: Farò festose frasi formulate (…) filmi fiondando formidabil facce (…) folle fremere fai, femmine, froci.

Càpita talvolta, però, che la remota provenienza o la classicità dell’esempio o ancora la personalità dell’autore lascino in secondo piano la particolarità della struttura (della contrainte, si direbbe in linguaggio oulipiano, della “costrizione”, presso il nostrano Oplepo) e l’abilità dell’autore, indirizzandosi direttamente al contenuto ed alla piacevolezza del verseggiare.

È proprio il caso di questi venti sonetti d’amore (e altrettanti del “non amore”) che, posti vis-à-vis, offrono ad ogni apertura del libro una doppia lettura, duplicata nella forma, ma che trova nella sostanza un’opposizione di toni e di intenzioni. Un contrasto forte o sommesso in una galleria di emozioni che prendono il lettore con una incisività resa ancora più incalzante dalla raffica sonora, naturalmente più forte nel caso del tautogramma consonantico e ancora più sferzante nei versi del “non amore”:



Bello,
benfatto,
beffardo bluffasti,
bissando brucianti
bugie.

Balordo,
bastardo,
banale bifolco,
buffone! Basta?
Bang!



Il linguaggio dell’Autrice è un linguaggio universale, nonostante l’apparente soggettività dei contenuti; esso si snoda nei venti e venti percorsi sfiorando, in modo appassionato o feroce, un’estesa galleria di amati e odiati partners che, nella loro diversità, esauriscono una variegata gamma di caratteri e di comportamenti.
Un’altra dimostrazione, questa – se mai ce ne fosse bisogno – di come la scrittura sous contrainte non contrasta affatto con il concetto-guida di ispirazione e di libertà dell’autore, dell’Autrice, in questo caso, la quale non fa assolutamente avvertire nei suoi versi la presenza di una “costrizione”, bensì una sorta di leit motiv che funge da continuo ispiratore di canto e controcanto.



Raffaele Aragona

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