domenica 11 marzo 2007

Emerico Giachery

"Lisola" , 3 agosto,2004 p.12.

La poesia del mare nei versi della Palombo



ALESSANDRA PALOMBO, IO MARE
Fotografie di Gloria Chilanti, Introduzione di Manrico Murzi, Nota di Giorgio Weiss
Editore A.Cassan - Liberodiscrivere

Per spaziare nei cieli della notorietà letteraria oltre i confini dell’Elba saranno preziose a questo libro neonato le ali degli scritti di Manrico Murzi e di Giorgio Weiss, due poeti di notevole fama. Il primo, elbano doc e a tutti gli effetti cittadino del mondo e aperto alle più vaste esperienze;il secondo, ben noto nel Parnaso italiano, non elbano, ma presente in modo generoso e attivo nella vita intellettuale dell’isola. Si aggiungerà subito che per avventurarsi con volo sicuro nei cieli della poesia, e non soltanto della notorietà letteraria, l’autrice ha di per sé buone ali, ali di gabbiano, per restare in chiave marina. Si può salutare con gioiosa simpatia questo libro e una nuova presenza poetica nell’isola, una voce che certo si farà ascoltare e ammirare.
Con la sua bellezza affiorata dalle onde come quella di Venere, l’Elba è luogo ideale per generare letteratura e poesia di mare. Mentre scrivo queste righe guardo la torre di Marciana Marina che ha accolto per anni Raffaello Brignetti, il maggiore dei nostri scrittori di mare. Scrittore e poeta di mare molto apprezzato il già citato Murzi. Due pittori miei amici, tra loro molto diversi per stile e temperamento, Giancarlo Castelvecchi e Italo Bolano hanno celebrato instancabilmente nelle loro opere il mare elbano. Il secondo ha ideato l’immagine della donna-isola, che è presente in questo libro di Alessandra Palombo, specialmente nella parte finale. C’è più di una sintonia tra questo pittore e questa poetessa, generati entrambi, si direbbe, dal mare.
A ben guardare, la tradizione poetica dedicata con pienezza al mare non è ricca come si potrebbe immaginare. Per l’Italia, il solo grande libro marino che mi venga in mente è Ossi di seppia di Montale, il cui cuore è la suite quasi sinfonica di Mediterraneo, che rappresenta il corrispondente meridionale di un’altra suite marina, stavolta nordica, di un altro grande poeta europeo: Nordsee, ossia Mare del Nord nel celebre Libro dei canti (Buch der Lieder) di Heinrich Heine.
Nonostante quello che comunemente si pensa, la scoperta della bellezza del mare, del piacere della spiaggia e del bagno e del nuoto e del navigare, come del resto
la scoperta della grande potenzialità poetica dell’elemento marino non è antica, anche se il primo gran libro della letteratura occidentale, l’Odissea. è libro in gran parte marino. La “scoperta del mare” risale al Settecento ed esplode in età preromantica e romantica. Chi volesse saperne di più può consultare un libro molto documentato tradotto pochi anni fa in italiano, L’invenzione del mare di Alain Corbin.
Si tratta comunque di una grande scoperta soprattutto interiore, che arricchisce la nostra vita e il nostro sentimento del mondo, e questo libro di Alessandra Palombo va letto anche in questa dimensione: come libro di esperienza totale, di intimo arricchimento.
Una certa volontà poematica presiede al libro: ogni sezione prende nome dal mare, da Primo mare a Settimo mare. Il mare scandisce il senso, il ritmo, il divenire di una vita di donna. Il mare si fa parola: negli echi, nel tessuto delle allitterazioni e delle rime. I testi poetici dell’autrice si alternano a prose tratte dalla cronaca quotidiana di anni lontani (fatti di vita minuta registrati dal “Telegrafo”, giornale d’area livornese, e grandi tragedie nazionali come il rapimento di Moro). a passi di poeti e prosatori, in un dialogo aperto con la cultura e con la storia. È una partecipazione che completa il dialogo solitario con il mare-esistenza, che è prima e di là d’ogni storia. Il primo dei passo citati, che conferisce al libro come un crisma di remota sacralità, è quello della Genesi sulla creazione delle acque.
Spigolando qua e là, per suggerire al lettore almeno il sapore della scrittura poetica e qualche barlume dell’assidua ricerca interiore, cito dal libro passi diversi e tra loro lontani. “Cerco me nel mio mare / per capire chi io sia”. “È l’ora di riabbracciare l’anima / per recuperare il futuro”. “Il libeccio si alzava per portare un amore innocente, arroccato per ore sul vento, a vedere le intrepide onde mangiare la spiaggia”. Veramente felice questo attacco: “Mai ho visto una prima volta il mare”. E che dire di queste Tre ragazze in vestaglia?: “La bionda aspirava al piacere, / ,la mora all’amore di un nero, / la rossa a una fiamma soffusa”. “Vibrava la nave che viaggiava nel buio / con il suo tutto tornava nell’isola”. “Acqua di cielo sposa acqua di mare”. “La donna dell’isola / è la Signora dell’acqua / è isola stessa. / Ella muta rimane se stessa”. Quando, nel Post scriptum conclusivo trovo versi come questi “L’orizzonte è nel profondo / Io sono l’orizzonte”, mi viene in mente che ogni cammino poetico non superficiale è un percorso di realizzazione interiore, in qualche modo esemplare. Per usare il linguaggio, a mio parere molto suggestivo, della psicologia profonda di Jung , si è qui realizzato, attraverso il contatto e l’identificazione intensa col mare-esistenza che è anche abisso e mistero, attraverso un’immersione nelle origini amniotiche simboleggiate dalle acque marine, e la progressiva rinascita di ogni riemersa stagione della vita, un processo verso la realizzazione del Sé. Cioè verso l’integrazione dell’Io individuale nella pienezza di un più compiuto e totale destino: l’immagine dell’orizzonte rappresenta questa fondamentale esperienza umana in modo perfetto.



Emerico Giachery

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