giovedì 26 gennaio 2012

Giuseppe Cornacchia

Giuseppe Cornacchia

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nabanassar

Tre settimane di poesia nei lit-blog italiani (II)

24 gennaio, 2012


Sandra Palombo: versificazione paesaggistica, non sofisticata, che rimanda colori in discreta varieta’ di sfumature (8 Gen 2012, Imperfetta Ellisse, http://www.ellisse.altervista.org/index.php?/archives/573-Sandra-Palombo-Trittico.html)

Giacomo Cerrai - 2

Giacomo Cerrai 

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Imperfetta Ellisse


Domenica, 8 gennaio 2012


Sandra Palombo - Trittico


"Possa perdonarmi la parola se la uso per parlarmi / mentre picchio e picchio contro il tronco / a scavare un incavo, dove raccogliermi", dice Sandra in un frammento in epigrafe a questa piccola raccolta inedita. Come a scusarsi di una scrittura certo lirica, con molto "io" dentro, ma certamente non egocentrica. Del resto la parola non è un "altro da sé", men che mai in poesia; non è un dio che "parla attraverso", è semmai proprio lo strumento con cui si scava il nostro simbolico tronco.
E in effetti la cifra di questi versi è appunto, credo, l'uso di una lingua "consunta", ma nel senso buono, come i ciottoli che si trovano su certe spiagge elbane. Cioè naturale e levigata dall'uso e dalla natura del linguaggio stesso, un attrezzo familiare con cui percuotere e far risuonare i ricordi, i dolori, le malinconie.
Malinconia, certo. E nostalgia, qualcosa che mi piace chiamare un piccolo nostos, apunto, necessità di un ritorno o di una ripercorrenza, non sempre possibile, di sentieri, di momenti. Dall'Elba alla terra ferma e ritorno, a Pisa o Livorno, da una casa all'altra, dalla quiete alla lotta, in una certa orizzontalità fisica del percorso, mentre il verticale del tempo è affidato alla perentorietà narrativa dell'imperfetto e del passato remoto, cosa già di per sé encomiabile. Tempo che così rimarca il non detto, il non fatto. Forse anche il non scritto.
Tuttavia non si deve credere che si tratti di lirismo puro e semplice, magari con tutti i suoi bei rimandi letterari, alcuni lampanti. Direi innanzitutto che non ha importanza classificare in tal senso questi versi, e a Sandra nemmeno interessa. Semplicemente la sua voce è quella, con quella si distingue e si esprime, su un terreno che, alla fine, non è più ego-centrico ma comune a molti di noi, cioè di una esperienza esistenziale riconoscibile, di una sostanza metaforica "semplice" e perciò immediata, cognitiva. Una voce certo marcata da ciò che Sandra chiama, con un termine che ho usato anch'io in altra occasione, isolitudine: una condizione speculativa sullo spazio, l'orizzonte lontano, la vastità del mare (c'è sempre una "città sul mare simile a una luminaria", una "finestra mirante il mare"), ma insieme sentimento di una "terra avvolta dall'azzurro" la cui "dimensione domestica" può essere anche prigione, ripiegamento, quasi luogo endemico di un confronto costante con sé stessi, i ricordi, i rimpianti, l'esistenza. (g.cerrai)