domenica 11 marzo 2007

Costantino Simonelli in Gas-O-Line

Gas-O-Line -n°35 –Agosto 2004

2. Poesie
[Costantino Simonelli]

Questo mese sono felice di presentare su Gas-o-line un gran bel libro di poesie della nostra “bombarola” Alessandra -Sandra Palombo: Io Mare, pubblicato per i caratteri dell’Editore A.Cassan - Liberodiscrivere, con fotografie di Gloria Chilanti,. Introduzione di Manrico Murzi, Nota di Giorgio Weiss.

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Donna, Isola, Mare; su questi tre elementi in simbiosi tra loro si fonda questo piccolo poema dell’esperienza esistenziale e marina di Sandra Palombo.
Già il titolo, Io Mare, senza congiunzioni o preposizioni che intermediano in qualche modo il rapporto, ci dice quanto questo sia talmente stretto da tendere addirittura a volte alla metaforica identificazione.
Bellissimo in tal senso il primo verso di questo passo: “Mai ho visto una prima volta il mare”.

Mai ho visto una prima volta il mare, di pochi giorni mi posarono sull’onde.
Da allora stiamo assieme, a naso in su, a scrutare l’orizzonte, in compagnia dei venti in alta uniforme, dei cavalloni bianchi, dei temporali e della malinconica pioggia sullo specchio acquoso di bonaccia.


Forse l’unica mediazione cercata in questo rapporto sottende la seconda identificazione esistenziale: quello con la sua isola, la sua piccola Isola d’Elba. Perché donna di isola non è come tutte le altre donne, come pure la terra di isola non è come tutte le altre terre: è un minuscolo universo a sé che sta al suo mare con una relazione quasi di genitore- figlia.




La donna dell’isola
è donna di ghiaia di riva rappresa,

è donna di mare
rena che sparse il suo sale
sul manto marino

è occhi innocenti arrossati,
sale asperso dal moto di libere onde,

è tempo che entra ed esce dal cosmo,
al variare del vento,

è amore sulla rena
della piccola spiaggia,
sotto cori invocanti la pioggia.

La donna di mare è uno strano animale,
oltre il canale allunga il suo sguardo
e poi si ritrae

oltre l’alone solare, oltre l’ibisco
si stende supina

la donna dell’isola4
è la Signora dell’acqua
è isola stessa.

Ella muta e rimane se stessa.



E’ il mare che dona lei la vita, che la protegge e l’ammonisce, la plasma, la educa, diventa il suo confessore ed il suo confidente , le conserva e le offre i ricordi, le dà l’ispirazione e le presta la voce; le cadenza le stagioni, e non solo quelle metereologiche, proprio quelle della vita.
E’ da questa molteplicità temporo - spaziale delle immagini e degli scenari che nasce forse l’esigenza di strutturare la raccolta poetica in più canti, numerandoli in senso progressivo: primo… secondo… terzo mare e di inframezzare e corredare i suoi versi con numerose citazioni di altri, autorevoli o non, fino addirittura ad inserire – quasi a voler spezzare un’atmosfera d’idillio e tenersi ancorata al reale – trafiletti di giornale con la data dell’epoca a cui i versi si
riferiscono.
Esperimento inconsueto ed in qualche modo ardito, ma complessivamente pagante.
E’ come se l’ opera di Sandra, per acquisire uno spessore poematico, abbia voluto raccogliere più voci possibili tra quelle che, chi per un verso, chi per l’altro, sono a lei care.
Anche perché in parte nel Quinto e nel Sesto Mare Sandra affronta esplicitamente il tema della evasione letteraria, fatta di lettura e di scrittura divenuta quasi un’esigenza dell’ anima per eludere il fisiologico “isolamento” e proiettare la sua fantasia oltre l’orizzonte consueto, nella quotidianità di altri mondi.



Tremule fantasie
frusciano nel fumo
del mio vizio antico
acceso tra le labbra;

giocano, nella mente,
cosciente dell’oasi
inconsistente,
tra sogno e veglia,
a riconciliare l’animo
con l’orizzonte
dell’andare quotidiano,
che dell’insieme uomo,
di rado, si rammenta.

A scavalcare
la soglia vegetale,
accolgo, senza remore,
le visioni scaturite
dalle unioni di parole.



Gli è da viatico, in questo disporsi ad assorbire e rendere in suo “poieo”, l’emblematico incipit di Calvino in “Se una notte un viaggiatore..” a cui seguono altre citazioni, quasi a formare un dialogo sui massimi enigmi del fare poesia.

Dopo quanto detto, offrire il meglio del meglio dei versi dell’opera di Sandra Palombo, non è cosa facile. Bisognerebbe leggerla tutta per intero per
coglierne l’armonia nella diversità. Tuttavia, per offrire un servizio di presentazione quantomeno invitante, provo a spiluccare qua e là da mare a mare.

Il Primo Mare è l’esordio, quasi ancestrale – sono citati alcuni versetti della Genesi – del percorso del ritrovamento di sé . E’ messa a fuoco la prima infanzia e le prime lusinghe e vanità della vita, ma, - come fa notare Manrico Murzi , che ha curato la presentazione del libro – pesca ancora più nel profondo, pesca nell’ ieri embrionale che è vicenda silente di una previta comunemente misconosciuta, ma che esiste e si nutre di quel “mare amniotico, nostalgico inciampo d’ogni essere umano”.




Grumi di sangue si sciolgono
nel tempio del mio tempo
e il vento di ponente mi trasporta
tra i capelli spettinati
di bambina in posa su una bitta.

Cerco me, nel mio mare,
per capire chi io sia,
come, perché e se vorrei
modificare la cornice del mio seno.



Nel Secondo Mare si colgono le prime effrazioni che la vita ha procurato alla sua adolescenza, le prime mancanze. In uno scenario d’una vecchia Livorno si vede lei ed una nonna premurosa portarla al mare e lì, insieme, nella multiforme varietà di vita d’una spiaggia, provare a dissipare le prime angosce.



La bimba, ferita ante tempo, ascoltava la nonna con la treccia sul capo fugare i fantasmi nell’afa di agosto :

Livorno, la vecchia, ode ancora
sferragliare l’anziano trenino
.
Tra ali d’asfalto portava al mare
nonne e bambini, uomini e donne
seduti su legno,
tra odori di fumo, tagliante l’azzurro.

Sentiero sassoso,
tra il verde dorato, ormai arso dal sole,
conduceva al ristoro:
sabbia rovente frescura di mare,
spuma all’arancia,

un pezzo di schiaccia salata e sabbiosa,
all’ombra odorante di legnosa cabina.


Nel Terzo Mare esplode la giovinezza, il desiderio d’amore, l’incoscienza, l’ardimento; ed il mare diventa un tramite per la libertà; una voglia di ricerca di nuove terre.



Tre ragazze in vestaglia
la sera spiluccavano, al buio,
testi indigesti e vino pugliese.

La bionda aspirava al piacere,
la mora all’amore di un nero,
la rossa a una fiamma soffusa.

Grattavano i muri coi palmi,
rapinavano i giorni
nel vecchio palazzo sul corso.


Stillavo liquori dalle foglie
del mirto selvatico,
con le sue fluorescenze feci ghirlanda
e sulla zolla nuda ramificai vitigni.

Impazzava la luce del giorno,
pesci azzurri sprizzavano
gocce d’argento.




Tra i gabbiani intenti a rimestare
nella via angolare
che amoreggia con il sole,

oscillava nell’acqua
ad osservare il marinaio.

Gettate le parole al vento di scirocco,
volava verso oriente,

pane e acciughe bastavano,
a virare a nuove terre.

Mollate le cime, in solitario,
annientava il panico
timore dell’ignoto;

da lei si staccavano pensieri
che in lei tornavano,
puliti dalle onde,
sotto forma di cristalli.




Nel Quarto Mare la poesia si fa acquerello. E questo dipinge scene di vita quotidiana; l’isola e il mare si fanno mestiere: navigante pescatore, bagnino… Si fanno preda: pesce, granchio… E lei nei versi matura questa specie di appartenenza alla vita ed al pensiero del mare e dell’isola.



La giornata sonnecchia,
rollano le navi alla fonda.

In un’ansa del seno marino
increspato da ipotesi, un bagnino
ripone il rastrello in attesa di tesi.

Sciolti i capelli alle onde
il barometro balla,
i gabbiani chiamano l’acqua,
il binocolo, appannato dal sale,
scruta l’evolversi:
dal mare ha appreso
a rispettare il vento.

Strattona il tramaglio il pescatore.
Sorda alla supplica, sguscia alla rete
la preda di carne pregiata.
Il pesce scompare lasciando la scena .


Un granchio saggia lo scoglio
a guadagnare la spiaggia:
il risultato non è garantito.
Impassibile, il mare sottostante schiuma.

Suoni stranieri ,
rumati dai secoli
in un unico infuso ,
danno tono alla voce
dell’isola ;

Apolide pietra
spugnosa, inglobo
promiscue grafie
fumanti d’inchiostro;

Foresta, libro nell’aria
malinconica nenia
in sintesi estrema
con il mio essere isola.



Del Quinto e Sesto Mare abbiamo già detto, per quanto possibile, come tematica prevalente.
Ma come ad inframezzare, questa volta, l’artificio poetico con vita bruciantemente vissuta, ecco questi bellissimi versi:



Nel buio, del blu tendente al verde, seguivo il ritmo.
A seconda del suono del suono,
viravo o muta ascoltavo.
Ad emularne le mosse mi ritrovai incosciente.
Un faro e la luna a baciarsi nel buio
e via tra i flutti
a rotolarsi le gocce.




Nel Settimo ed ultimo Mare il percorso del riconoscimento di sé si compie. Non è certo definitivo. Né come vita né come poesia. Ma il tragitto l’ha arricchita di ulteriori dubbi ma anche di qualche consapevolezza in più. E d è stato indubbiamente rigenerante.



Carezza di brezza / Inondata da spruzzi/

deterge le gote e aspira le membra,

in sentieri di osmosi /simbiosi

disperdo le ansie

ritrovo il piacere/ Riprovo a rinascere/



E , come ultimo grazie al suo mare:

Là, oltre le onde evanescenti, torno ad esistere, all’alba, come cristallo di salsedine, e il mare mi avvolge e mi veste di trine.

Ma c’è un Post Scriptum in cui Sandra edifica un suo senso della vita. Definitivo?
Dalla categoricità di certe affermazioni :



“E lì non servono domande e risposte/ non serve niente nella culla dell’acqua/ non serve niente… oppure
l’orizzonte è nel profondo/ io sono l’orizzonte/ Nessuno, neanche la mia carne/ potrà farlo suo

sembrerebbe proprio di sì.
Ma allora perché questa tua citazione Sandra?
In ogni autentica creazione c’è sempre qualcosa che Borges direbbe in fuga, perché in fuga
verso spazi indicati ma non esplicitati dalla scrittura: e qui sta in parte il motivo per cui nessun
autore connoterebbe la propria opera come definitiva. ( M. Corti)

E così la vita come la poesia, cara Sandra. C’è un qualcosa che ci sfugge. Fino alla fine di ogni orizzonte, il più ampio, che ci si possa costruire.




La sala odora di caffè e brioches .

Sulle poltrone i passeggeri
della prima corsa si appisolano.

Il buio sbottona il suo abito
per far posto alla luce.

Accosto la porta e muovo in avanti
a scoprire l’orizzonte,
per scoprire che l’orizzonte non è.

Il confine tra mare e cielo
non è che una massa informe
dal colore rosa, pelle rosa di neonato.


Ed è lì
nella mia solitudine
che non è solitudine,
immersa nella natura
che non è natura,
su una nave in navigazione
comprendo di essere il gabbiano
alla ricerca di cibo
tra le onde morbide prodotte dall’elica.

E lì non servono domande e risposte.
Non serve niente nella culla d’acqua .
Non serve niente Non serve niente.
.
Sulle panchine di plastica, asciugo ,
con un fazzoletto, la guazza salmastra,
ripetendo lo stesso identico atto
di milioni di persone che nei secoli
si sono mosse in mare all’alba.

La costa sparisce,
la nave è in mare aperto.

Seduta allungo le gambe ,
mi stringo nel piumino per offrire
al vento solo la pelle del viso.

Ed è lì
tra male e cielo, nell’ora in cui
la foschia si unisce ai primi raggi,
nell’ora in cui l’orizzonte
è un riflesso sfumato
che mi appartengo.

L’orizzonte è nel profondo
Io sono l’orizzonte.

Nessuno, neanche la mia carne,
potrà rapirlo e farlo suo.



Alessandra Palombo, vive e lavora all'Isola d'Elba. Laureata in Lettere e Filosofia all'Università di Pisa, nel 1989, su incarico della Soprintendenza di Pisa, ha curato la scelta dei libri da esporre nella mostra "Lector in Insula – La biblioteca di Napoleone all’Isola d’Elba", allestita presso il Museo di San Martino a Portoferraio e, in seguito a Parigi e al Castello di Fontainebleau.
Membro del comitato direttivo del Centro Nazionale di Studi Napoleonici e di Storia dell'Elba, i suoi studi su Napoleone lettore e in particolare sulla raccolta dell’esilio elbano, sono stati pubblicati sulla Rivista del Centro, nonché in vari volumi e quotidiani. Pur non abbandonando la ricerca storica, da alcuni anni si dedica alla poesia e alla prosa. Un suo racconto dal titolo “ Rito serale” è presente in “Racconti 2002 - Raccolta Autori Vari”, Genova, Liberodiscrivere, 2002, mentre alcune poesie sono state pubblicate nella Rivista di poesia “Poeti & Poesia”.



Costantino Simonelli.

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