sabato 22 settembre 2007

Enrico Cerquiglini


Enrico Cerquiglini



domenica, 16 settembre 2007

Sandra Palombo e Il passo del tempo

I testi di Sandra Palombo sono caratterizzati da un’idea forte che, di volta in volta, si fa ricordo (L’arrivo di un piroscafo), constatazione dello scorrere del tempo (Piazza della Repubblica), dolore (A perforare l’imene) e l’illusione di fermare il tempo (Non conosco). Queste idee forti, tutte riconducili alla sfera della memoria, hanno nel loro seno una cifra pascoliana, di un Pascoli che sull’asse memoria-morte-rimozione del tempo ha dato alla nostra poesia un contributo importante - linguisticamente imprescindibile – alla costruzione di una poesia in grado di cogliere gli aspetti più misteriosamente inquieti dell’animo umano contemporaneo.
Come per il Pascoli la morte del padre rappresenta la fine dell’infanzia e della serenità familiare, così per la Palombo rappresenta la perdita della verginità, l’entrata nel dolore, l’incontro con l’annichilimento della fisicità, la scoperta della dimensione drammatica del vivere. L’uscita dall’infanzia interiore porta a riconsiderare verbi come “volare, morire e violare” e di conseguenza apre le porte al processo di solitudine più intimo e profondo che trova naturale compimento nell’attimo finale dell’esistere. E in questo cammino, reso cosciente dalla perdita dalla verginità di morte, in cui le cose e gli affetti si precarizzano, il ricordo assume una dimensione tragica di contrasto tra il ricordante di allora (tutto teso alla fantasia e al sogno) e il ricordante adulto (ammansito dalla realtà e consapevole dell’asse cronologico che scandisce la vita). Lo spettacolo del piroscafo che porta sull’isola (ricordiamo che Sandra Palombo vive all’isola d’Elba) gli ergastolani ha in sé la forza di una stampa ottocentesca, il bianco e nero di film e sceneggiati risorgimentali.
Il tempo dunque e le sue inesorabili leggi hanno largo spazio nei versi della Palombo. Nel testo Non conosco si evidenzia con tratti delicati ma decisi il passare degli anni (capelli bianchi, approssimarsi alla meta) che tutto stravolge, lasciando però inalterato il l’animo (il sorriso) che non conosce età e che ci è compagno del cammino umano.
Anche il versante sociale entra in queste liriche. Emblematico è il testo intitolato Piazza della Repubblica. Già il titolo rimanda simbolicamente al nostro paese e gli elementi (arredi urbani e figure umane) costituiscono rintracciabili simboli di un’allegoria che sfocia nel “niente resta dell’adoloscenza” della chiusa che, come un’epigrafe, segna la chiusura di un’epoca storica e personale non più destinata a ritornare o a sopravvivere se non nelle nostalgie di chi avverte la fine di un mondo ma senza avvertire l’avvento di un altro.
Un testo che indica la decadenza della vita politica italiana, il lento ma inesorabile chiudersi in sé stessi, il passaggio dal luogo politico per antonomasia, la piazza – luogo di condivisione e aggregazione – alla stanza chiusa, al privato che svuota le strade tradendo ogni sogno di possibile cambiamento attraverso la partecipazione. Muoiono i simboli, i padri della Repubblica, portati via dal tempo e con essi muore la Repubblica in questa alba di millennio che sempre più somiglia alla notte heideggeriana.
Enrico Cerquiglini

Dalla raccolta inedita Il passo del tempo:


A perforare l’imene


A perforare l'imene fu l'addio di mio padre
che amavo osservare sossopra
mentre in salotto fumava la pipa
con l'amico che lo vide
cadere dal ponte della nave nemica
per volare, morire e violare
l'immagine di me
vergine di morte.



L’arrivo del piroscafo


L’arrivo del piroscafo era uno spettacolo.
Le auto imbracate nella rete
sbarcavano dal cielo
dondolando. Talvolta a terra
c’era un cellulare nero
ad attendere gli ergastolani,
che scendevano con le mani incatenate
rivolte verso il volto,
nel tentativo di nascondere
agli sguardi la vergogna;
erano giovani che avevo immaginato
vecchi e bimba bimba,
dal balcone ricoveravo in casa
con il cuore stretto stretto,
prima che al molo chiudessero il cancello.

*****

Non conosco

Non conosco quei capelli bianchi.
Non li riconosco.
Il sorriso sì.
E’ rimasto identico il sorriso
dell’amica cresciuta con me.
Nel raccontarci,
all’approssimarsi della meta,
si rinsalda l’affetto
nei nostri seni marini
chiusi da tre lati ad obbligare la rotta.

*****

Piazza della Repubblica

Uno dopo l’altro, s’ammalano e muoiono
i platani di piazza della Repubblica
e con loro se ne vanno un paese e i suoi abitanti,
le maestre dalla pettinatura anni sessanta,
gli amici con i libri sottobraccio.

Insieme coi viandanti d’una volta,
gli slogan per la pace salgono
gli scalini dell’anarchico e
una volta entrati nella sua stanza,
per strada niente resta dell’adolescenza.



Alessandra Palombo

Nata a Livorno nel 1955 , vive all’isola d’Elba nel comune di Portoferraio.
Laureata in lettere e filosofia ha pubblicato vari articoli di storia sulla biblioteca elbana di Napoleone I, due libri di poesie, Iomare con prefazione di Manrico Murzi e nota di Giorgio Weiss (Genova, Liberodiscrivere 2004) e Tautogrammi d’amore e d’amarore, con introduzione di Raffaello Aragona (Genova, Liberodiscrivere 2005), oltre a racconti e poesie in antologie e riviste cartacee e online.

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